THE PROG LIBRARY. UNA BIBLIOGRAFIA DI MUSICA SETTANTIANA

Piccola ouverture

Come titolo forse sarebbe stato più adatto The Rock Library oppure, già che si era fatta una scelta di stile musicale, si poteva puntare su The Library Side of the Moon in omaggio all’album dei Pink Floyd che nel 1973 si pone come centro e vertice di una stagione musicale poliedrica, ricchissima, piena di luce, di riflessi e di lati oscuri. Alla fine, la scelta di The Prog Library, non del tutto comprensiva dei contenuti di questa bibliografia, è comunque sembrata quella che meglio poteva rispondere al desiderio di raccontare un lungo decennio di cambiamenti, di cambi di tempo, di progressive evoluzioni musicali e culturali. Nella scelta delle citazioni che il lettore incontrerà sparse qua e là, scelta che ha creato ancora più gravi dilemmi di quella del titolo, si è cercato di dare un saggio di tutte le espressioni che trovavano voce nei testi di allora, dall’esistenzialismo pinkfloydiano alle filastrocche vagamente inquietanti dei Genesis, dalla sboccata critica sociale di Frank Zappa allo sperimentalismo poetico dei King Crimson. Per quello che invece non si è potuto raccontare in questa bibliografia ci sono, per fortuna, tutti i libri che troverete qui e sugli scaffali della biblioteca.

La musica rock negli anni Settanta

Gli anni Settanta del secolo scorso sono spesso ricordati come anni bui, gli anni di piombo, in cui tutto il mondo, in particolare l’Europa, è stato scosso da molte tensioni socio-politiche, dal terrorismo alla crisi energetica e alla distruzione della natura, dai rigurgiti totalitaristici al diffondersi dell’uso di droghe. Forse proprio per questo – come reazione ai tempi controversi – le espressioni musicali di quel periodo, hanno saputo invece mettere in campo le basi per lo sviluppo di tutta la musica dei decenni a venire, mantenendo una fortissima influenza anche su tutto il XXI secolo.

Poiché però da cosa nasce cosa, molto di quanto prodotto negli anni Settanta ha origini o è influenzato da avvenimenti culturali (e sociali) degli ultimi anni Sessanta, sicuramente del biennio 1968-1969. Del ’68 basti dire che – al pari delle pulsioni socioculturali – la musica ricevette uno scossone che cambiò drasticamente le prospettive; nonostante questo, il movimento flower power durò poco: il festival di Woodstock, ma ancor di più quello di Altamont (dove il servizio d’ordine degli Hell’s Angels uccise un ragazzo sotto il palco durante l’esibizione dei Rolling Stones) chiudevano un’era e tiravano una riga rossa su sogni e illusioni. I Beatles erano ormai prossimi all’implosione, la musica si stava arricchendo di spinte nuove: il blues nero americano si diffondeva grazie ai musicisti inglesi, il rock pesante cominciava a sfidare il sistema, la psichedelia si colorava di un’inedita vena progressiva. Jimi Hendrix e i Pink Floyd – tra tanti – rappresentano un po’ il ponte di transizione tra le due decadi, il primo sovvertendo completamente il ruolo del musicista blues/rock e l’uso della chitarra (il nuovo album previsto per il 1970, doveva intitolarsi First Rays of New Rising Sun, un titolo in cui c’era già tutto il senso del cambiamento); i secondi affrancandosi dal pop psichedelico verso una musica più concettuale, ricercata.

Gli anni Settanta si aprono con ferite profonde: muoiono Jimi Hendrix e Janis Joplin, seguiti l’anno seguente da Jim Morrison; il 1971 è il canto del cigno per la musica internazionale dal vivo in Italia, dopo gli scontri del Vigorelli durante l’esibizione dei Led Zeppelin.

I giovani sono ora più consapevoli che sogni e illusioni si scontrano con la realtà di un’epoca di transizione, dimenticano le collane di fiori e finalmente fanno sentire bene la propria voce, libera come le radio pirata che stanno nascendo ovunque.

Così, lungo questi dieci anni prendono forma definitiva l’hard rock (con la sacra triade Led Zeppelin, Black Sabbath, Deep Purple), il metal (coi precursori della NWOBHM (New Wave of British Heavy Metal): Judas Priest, Thin Lizzy, Motörhead, AC/DC), il glam (T-Rex, Alice Cooper, David Bowie, New York Dolls), e arrivano nuove correnti, quali la disco funky, il progressive, il punk, la new wave. Spesso generi interconnesi tra loro, a volte in reazione ad altri fino a decretarne la morte.

Il binomio anni Settanta/prog è quello che più spesso connota questa evoluzione.

I primi passi li fanno Genesis e Pink Floyd: una musica diversa, razionale, cerebrale, che parla alla testa piuttosto che alla voglia di rissa, alcol, sesso. La corrente si rinforza subito con Jethro Tull, King Crimson, Yes, Emerson Lake & Palmer, Tangerine Dream, Magma, Area, Premiata Forneria Marconi, Banco del Mutuo Soccorso, New Trolls. Band soprattutto europee, perché qui era forte la necessità di mettere sul piatto qualcosa di completamente diverso dagli sciocchi ritornelli degli anni Cinquanta e Sessanta, qualcosa di meno commerciale, che richiedesse impegno nell’esecuzione e nell’ascolto. In questo senso, in Italia, l’epoca del prog è ricordata come l’età dell’oro del rock nazionale (anche se allora lo si chiamava pop), grazie a trame musicali sconosciute al nostro panorama, suonate e cantate da band (non cantautori; e nemmeno band derivative come quelle degli anni Sessanta, che spesso non facevano altro che riproporre famosi pezzi beat stranieri col testo in italiano). Musica originale, inedita sotto molti aspetti, spinta dalle radio libere e dai moltissimi festival che furono organizzati all’epoca.

Dal punto di vista tecnico, la musica progressive è caratterizzata da tracce anche molto lunghe (le suite che occupano l’intero lato di un LP) e da melodie in continua evoluzione (da cui, appunto, l’aggettivo progressive). I brani sono contraddistinti da variazioni di tempo, da arrangiamenti complessi che spesso fioriscono in indimenticabili assoli e dall’uso di sintetizzatori o di strumenti inconsueti: si pensi agli esperimenti di Robert Fripp con le chitarre elettriche (i cosiddetti frippertronics), all’uso della chitarra orizzontale di David Gilmour, l’uso anarchico del pianoforte (tastiera, ma anche interni) di Keith Emerson, e ancora il flauto di Ian Anderson, le campane tubolari di Mike Oldfield, i sassofoni, gli oboi, i clarinetti...

Molti brani sono esclusivamente strumentali, ma – dove sono presenti – i testi raggiungono spesso un’elevata qualità letteraria. Contrariamente ad un’opinione abbastanza diffusa, non di rado affrontano importanti questioni sociali: su tutti, i testi di Roger Waters, ma anche in questo caso la lista potrebbe essere lunga.

Anche il prog ebbe il suo carnefice, quel punk che da metà decennio lo fece sparire dalle top ten in quattro e quattr’otto, per poi a sua volta consumarsi in altre sottocorrenti e sottogeneri. Perché la musica è così, sempre in movimento, sempre sulla cresta dell’onda delle sensazioni dell’adesso, dei sogni della gente, delle cose urgenti da dire. Questa elasticità permette, in fin dei conti, di non dover mai mettere la parola fine ai generi musicali; anche il prog ebbe le sue stagioni di rinascita e rivisitazione, fino a divenire un tassello costante del panorama musicale del nuovo secolo, con nomi di tutto rispetto come Dream Theater, Opeth o Porcupine Tree.

 

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