Vasilij Gossman, "Stalingrado"
Coloro che hanno letto Vita e destino (1960; Adelphi 2008), il capolavoro dello scrittore ebreo ucraino di lingua russa Vasilij Semënovič Grossman (1905 -1964), ricorderanno di aver provato, almeno nelle prime 80 pagine, un senso di smarrimento: di alcuni personaggi si dava per scontato che si sapesse chi fossero e alcune situazioni sembravano essere cominciate molto prima, ma non se ne sapeva niente. Qualche critico consigliò di andare avanti facendo finta di nulla, come quando si entrava nei cinema a film già iniziato da un pezzo, e lasciarsi catturare dalla bellezza del racconto, dallo spessore e dalla complessità umana dei personaggi, da situazioni altamente drammatiche descritte con partecipato distacco come si conviene a un classico. In un romanzo di quasi mille pagine c’era inoltre anche il problema della buona comprensione dello svolgersi della vicenda: come in tutti i grandi romanzi russi, dopo un po’, l’affollamento di figure e nomi, ulteriormente ingarbugliati dai patronimici, faceva perdere al lettore l’orientamento (qualche buon’anima anglofona si incaricò di compilare, su internet, lunghe liste per ordine alfabetico con l’indicazione della rete di relazioni tra i vari personaggi).
Tutto questo non era voluto. Grossman aveva concepito una grande opera, in più volumi: Vita e destino era preceduto da una prima parte intitolata Per una giusta causa, pubblicata in Unione Sovietica nel 1952. Poi, nel 1961, durante il disgelo kruscioviano, Grossmann inviò al mensile letterario Znamâ ("La bandiera") la seconda parte: Vita e destino, che aveva composto negli anni cinquanta. Il redattore capo di Znamâ, Vadim Mihajlovič Koževnikov, per timore di poter essere considerato complice delle tesi espresse da Grossman, segnalò il fatto al KGB. Pochi giorni dopo lo scrittore ricevette la visita di alcuni agenti che sequestrarono: la macchina da scrivere, i nastri, i manoscritti e gli appunti di Grossman, fra cui quelli riguardanti un terzo libro (Tutto scorre).
Ora finalmente il primo grosso volume esce anche in italiano con il titolo che voleva l’autore: Stalingrado (sempre nell’ottima traduzione di Claudia Zonghetti, Adelphi pp. 892). Il titolo originario (Per una giusta causa), parafrasava le parole pronunciate dal ministro degli Esteri sovietico, Vjačeslav Michajlovič Molotov, all’inizio della guerra: “la nostra causa è giusta”. Comunque, alle commissioni politiche del partito non piacque affatto che i protagonisti del libro fossero intellettuali di estrazione borghese e che l’autore non avesse enfatizzato abbastanza l’eroismo delle truppe russe nella città assediata. Ma ciò che dette più fastidio ai censori fu il racconto delle sofferenze degli ebrei nell’Ucraina e nella Russia occupate dai tedeschi. Alla prima edizione, seguirono due diverse versioni riviste dall’autore nel 1954 e nel 1956, ognuna con caratteristiche diverse, conformi alla contingenza storica: mentre in quella del ’52 (uscita in piena repressione staliniana antisemita con il pretesto del “complotto dei medici”), venivano censurate tutte le parti che si riferivano a personaggi e situazioni che riconducevano agli ebrei e all’eccessivo peso dato al loro sterminio; nelle altre due edizioni, all’inizio della destalinizzazione, si procedette a una nuova e differente “epurazione”, alleggerendo tutti gli aspetti che esaltavano troppo il ruolo di Stalin.
[Continua a leggere su Doppiozero: Francesco M. Cataluccio, Vita e destino di un capolavoro: Stalingrado di Vasilij Grossman].
IN CATALOGO: Vasilij Gossman, Stalingrado, Adelphi, 2022 (ebook).
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