Chris Fuhrman, "Vite pericolose di bravi ragazzi"

«Vite pericolose di bravi ragazzi di Chris Fuhrman esce per la prima volta nel 1994, dopo la prematura morte dell’autore (originario di Savannah, nel Sud degli Stati Uniti) avvenuta nel 1991 quando, solo trentunenne, stava ancora lavorando alla sua revisione. Pubblicato in Italia per la prima volta nel 2013 [è l'edizione disponibile in biblioteca] e pressoché ignorato, esce di nuovo ora [nel 2022] per i tipi di Atlantide. Nella Postfazione a questa nuova edizione, Giorgio Gizzi definisce il romanzo una pepita d’oro, uno di quei libri semisconosciuti e introvabili che però si rivelano sorprendenti. È difficile non essere d’accordo: Vite pericolose colpisce ancora oggi per la perfezione e l’equilibrio formali e perché dà l’idea di un libro senza tempo, un piccolo classico sull’adolescenza o un romanzo di formazione mancata che si fatica, almeno nelle prime pagine, a collocare in un preciso spazio e in una qualsiasi epoca. Col procedere della narrazione ci rendiamo conto che siamo nella Georgia dei primi anni settanta, e che i giovanissimi protagonisti frequentano una scuola cattolica che impartisce un’educazione rigida, improntata al rispetto della disciplina e alla scrupolosa osservanza dei precetti religiosi. Il personaggio principale, Francis, racconta in prima persona le vicende della sua piccola banda di amici, gli Altar Boys del titolo originale (The Dangerous Lives of Altar Boys) che la pur bella traduzione italiana non rende alla perfezione. Sullo sfondo delle vicende raccontate – storie di ordinaria disubbidienza e insubordinazione di adolescenti ribelli, tra litigi familiari, punizioni scolastiche, e la scoperta dell’amore e del sesso – si delinea la fisionomia a tratti cupa e disturbante della società del Sud degli Stati Uniti negli anni delle lotte per i diritti civili. ».
[Fiorenzo Iuliano, Gli Altar Boys, in "L'Indice dei libri", dicembre 2022].

♦ IN CATALOGO: Chris Fuhrman, Vite pericolose di bravi ragazzi, Milano: Isbn, 2013.

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Emine Sevgi Ozdamar, "Il ponte del Corno d'oro"

Non è un caso che sia stata una scrittrice di origine anatolica, Emine Sevgi Özdamar, a ricevere, quest’anno, l’ambito premio letterario tedesco Georg Büchner, probabile anticipo di una prossima candidatura al premio Nobel. [...]
Nata a Malatya, la città dell’Anatolia sudorientale orgogliosa delle sue rinomate albicocche secche, emigra in Germania due volte – la prima nel 1965, come Gastarbeiterin, come allora erano definiti i lavoratori immigrati, la seconda, come esule, dopo il colpo di stato militare del 1971, dopo che era rientrata in Turchia, a Istanbul. Qui frequenta l’Accademia di Arte Drammatica e prende parte al movimento di protesta degli anni Sessanta e Settanta.
L’esilio a Berlino è politico e intellettuale, ed è necessario anche per la salute della sua lingua. In seguito alla repressione, infatti, non è più in grado di esprimersi come vorrebbe, sente il bisogno di curare la lingua madre in uno Sprachsanatorium, un sanatorio della lingua che a suo dire si trova in Germania. È la Volksbühne di Berlino Est, dove è accolta dall’allievo di Bertolt Brecht Benno Besson, con cui lavorerà per anni.
Proprio la lingua, allora ferita, che le rende insopportabile il paese in cui la libertà di espressione è cancellata e che l’ha spinta ad allontanarsi dalla sua terra e dai suoi cari, col tempo è rinata. Si è trasformata durante un lungo percorso compiuto come attrice, assistente e regista di teatro e scrittrice. Ora nelle sue opere usa una lingua unica, gioca con le parole, le trasforma, crea neologismi sia grazie a invenzioni originali sia ispirandosi alla lingua turca. [...]
Sono passati decenni, l’apparente semplicità dei testi di Özdamar ha portato talvolta a una sottovalutazione della sua opera, considerata letteratura di minor valore. Ora però la giuria che in passato ha conferito lo stesso premio a scrittori del calibro di Max Frisch e Günter Grass, Heinrich Böll e Christa Wolf, ne valorizza i «mezzi stilistici letterari sconosciuti ed espressioni d’ispirazione turca» e dichiara che «il lavoro di Emine Sevgi Özdamar apre un dialogo tra lingue, culture e visioni del mondo differenti che è insieme intellettuale e poetico».
L’essenza della sua opera è colta in pieno.

[Sandra Paoli, il manifesto del 18.08.2022]

♦ IN CATALOGO - Emine Sevgi Ozdamar, Il ponte del Corno d'oro, Milano: Ponte alle Grazie, 2010.

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Roy Jacobsen, "Gli invisibili"

Acclamato scrittore in patria, la Norvegia, e a suo modo filosofo, Roy Jacobsen presenta in traduzione italiana il primo tomo della tetralogia ambientata nelle Isole Lofoten sullo scorcio degli anni venti. Con una scrittura personalissima che mai indulge nelle convenzioni letterarie della natura selvaggia, Jacobsen racconta la vita di alcuni membri di una famiglia, chiusa in un microcosmo di pura sussistenza. Eppure anche in ecosistemi così sigillati, l’anelito verso una prospettiva alternativa si fa sentire al punto da creare vere, silenziose, tragedie. In un luogo dove possedere una sedia significa quasi ricchezza, tutto si concentra nelle abilità artigianali e nel confronto diretto con una natura da sfruttare fino in fondo.

Ho deciso di ambientare la mia storia al principio del XX secolo perché la nostra è una società sostanzialmente conservatrice. Mi interessava capire quanto di quello che sta alle nostre spalle sia rimasto come eredità ancestrale, anche se certi stili di vita sono stati del tutto oscurati da un diffuso benessere che ha investito le nostre città e le nostre campagne. Mia madre è cresciuta in un’isola come quella che ho raccontato nel mio romanzo. Durante la mia infanzia ho naturalmente ascoltato moltissime storie legate a questo ambiente dalla sua voce. In qualche modo, mia madre cercava di paragonare la nostra vita nei quartieri operai di Oslo, una vita comunque viziata, con la povertà e la lotta per l’esistenza immersa in una natura difficile e bellissima, qualificata dai ricordi della sua isola. Ogni estate poi mia sorella e io trascorrevamo le vacanze laggiù. E io, da bambino, ero molto affascinato da questo mondo così strano. Come mai la mamma viene da qui? Mi chiedevo. Sembrava qualcosa di simile all’età della pietra per noi bambini. La gente veniva dal mare, da un luogo misterioso. Tutto questo ha esercitato un fascino profondo per me. Quindi da bambino ero affascinato da tutto questo. Ho sentito molte storie. Dopo il liceo a Oslo, ho frequentato un anno di matematica all’università e poi mi sono trasferito sull’isola. Ho fatto il pescatore per undici anni, conosco bene ciò di cui scrivo.

[Camilla Valletti → continua a leggere sul sito de L'Indice dei libri del mese]

♦ IN CATALOGO: Roy Jacobsen, Gli invisibili, Milano: Iperborea, 2022.

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