Nata in Ucraina il 10 dicembre 1920 in una famiglia ebrea russa, Clarice Lispector all'età di due anni fu costretta ad emigrare in Brasile a causa della persecuzione degli ebrei durante la Guerra civile. La scrittrice dirà di non avere alcun legame con l'Ucraina: "Su quella terra non ho letteralmente mai messo piede: mi hanno portata in braccio". È cresciuta a Recife, nello stato di Pernambuco, dove sua madre morì quando lei aveva nove anni. Durante gli anni dell'adolescenza la famiglia si trasferì a Rio de Janeiro.
Mentre studiava legge all'Università Federale di Rio de Janeiro, iniziò a pubblicare i suoi primi articoli giornalistici e racconti, e conobbe presto la fama, all'età di 23 anni, con la pubblicazione del suo primo romanzo, Vicino al cuore selvaggio (Perto do coração selvagem), scritto sotto forma di monologo interiore. Lasciò il Brasile nel 1944, dopo il suo matrimonio con un diplomatico brasiliano, e trascorse circa quindici anni in Europa e negli Stati Uniti. Dopo il ritorno a Rio de Janeiro nel 1959, iniziò a produrre le sue opere più famose, tra cui il libro di racconti Legami familiari (Laços de família), il grande romanzo mistico La passione secondo G.H. (A paixão segundo G.H.), e quello che è probabilmente il suo capolavoro, Acqua viva (Água viva).
Lo stile di Clarice Lispector va oltre qualsiasi tentativo di definizione. La scrittrice e critica francese Hélène Cixous arriva ad affermare che nella letteratura brasiliana vi è uno stile A.C. (Antes de Clarice - prima di Clarice) e D.C. (Depois de Clarice - dopo Clarice).
Ferita in un incidente nel 1966, ha trascorso gli ultimi dieci anni della sua vita scrivendo e pubblicando regolarmente romanzi e racconti fino alla sua morte, avvenuta nel 1977 all'età di 57 anni.
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Clarice Lispector aveva diciannove anni quando fu pubblicato questo suo libro in Brasile. Era una giovane ebrea ucraina, trasferita con i genitori, piccolissima, in America del Sud. La critica brasiliana accolse subito la Lispector con meraviglia, definendo questo libro «il nostro primo romanzo nello spirito di Joyce e Virginia Woolf» (Alvaro Lins). Ma la Lispector non conosceva bene né l’uno né l’altra: era invece una scrittrice fortemente istintiva, che già nelle sue prime pagine tracciava definitivamente i lineamenti del suo mondo: un mondo frantumato, traboccante di immagini, dove si è continuamente sbalzati fra una realtà che viene a mancare e una realtà che sopraffà.
«Perché era così ardente e leggera, come l’aria che viene dal fornello quando lo si scoperchia?». Joana, la protagonista di questo romanzo, è una bambina, poi una ragazza, poi una donna, dai sentimenti naturalmente presocratici. Tutto in lei affiora da «percezioni troppo organiche per essere formulate in pensieri», come in una Virginia Woolf amazzonica, arruffata e vagamente stregonesca. Joana ha il tratto della visionaria ironica, che non riesce a liberarsi mai dal «desiderio-potere-miracolo di quand’era piccola», e neppure lo vuole. Qui la letteratura e il sogno crescono insieme, come nello stesso giardino d’infanzia. «All’inizio sognava montoni, andare a scuola, gatti che leccavano il loro latte. A poco a poco aveva cominciato a sognare montoni azzurri, andare a una scuola in mezzo alla foresta, gatti che bevevano latte in piattini d’oro. E i sogni si addensavano sempre più e acquistavano colori difficili da diluire in parole». Che cosa accade, a Joana? Si trasforma, passa il tempo, perfino si sposa. La sua storia è il silenzioso ruotare di un prisma che guida la luce «vicino al cuore selvaggio della vita». Vicino al cuore selvaggio è apparso per la prima volta nel 1944.
Libro postumo, libro testamento – ma anche «intrepido e scherzoso libro di vita», debordante di «frasi sconnesse come in sogno», di «idee allo stato grezzo», formato di «resti della demolizione di un'anima» e di «estasi provvisorie» –, Un soffio di vita mette in scena due personaggi (l'Autore e la sua creazione, o creatura, Ângela) che dialogano affrontando tutti i temi sui quali la Lispector si è incessantemente interrogata: le parole, il tempo, il mondo, la storia, la preghiera, gli esseri viventi e quelli inanimati. Infine: la grazia. La scrittrice non nasconde affatto le sue intenzioni e, perentoria come sempre, esordisce: «Voglio scrivere movimento puro». Quel che si propone, infatti, non è una stesura coerente, una trama qualsivoglia, bensì il definitivo esorcismo dell'indicibile. Quando compone gli ultimi frammenti, le è stata diagnosticata una malattia mortale, e la morte pervade questo testo, che lei stessa confessava essere stato «scritto nella sofferenza». Olga Borelli, l'amica-assistente che per otto anni le è stata vicina, annotando i suoi pensieri e battendo a macchina i suoi manoscritti, ha affermato che Un soffio di vita doveva essere il suo «libro definitivo», scaturito com'è «da uno slancio doloroso che lei non era in grado di trattenere».
«Da un mistero è venuta, verso un altro è partita. / Restiamo ignari dell'essenza del mistero» scrive Drummond de Andrade di Clarice Lispector. Ed è proprio in un misterioso universo personale – un universo labirintico e lacerato – che il lettore viene come risucchiato dalla voce, visceralmente femminile, che in queste pagine tenta di dire l'indicibile, di entrare in contatto «con l'invisibile nucleo della realtà». Attraverso uno sregolato, impetuoso flusso di coscienza la Lispector ci fa percepire, in modo quasi fisico, impressioni e visioni di travolgente intensità, usando una lingua che sembra inventare continuamente se stessa, il cui fascino risiede nella sua stranezza e le cui ferite sono il suo punto di forza. Testo estremo di un'artista estrema, Acqua viva costituisce il raggiungimento della maturità della sua autrice: un assolo ammaliante, in cui tornano i temi ricorrenti in gran parte dell'opera della Lispector – la natura e i suoi sfaccettati simbolismi, lo specchio e la rifrazione obliqua, il male e la morte, l'incomunicabilità fra amanti – spinti all'incandescenza, senza che mai, ai suoi incantesimi, ci sia dato sottrarci.
"C'è un universo sull'orlo del collasso e pronto a liquefarsi in questo libro dal quale lampeggia lo sguardo impietoso di Clarice Lispector. Uno sguardo che coglie l'incongruenza delle cose che sono e la volgarità dei nessi che le tengono insieme. Uno sguardo che tenta di lacerare la pellicola opaca dei gesti degli uomini per carpirne il segreto più intimo: quel segreto che sappia dare senso al tutto insensato che ci circonda e che chiamiamo vivere. Questo lo spazio privilegiato di Clarice Lispector, forse la maggiore scrittrice portoghese di questo secolo, che delle sue origini di ebrea ucraina conserva e privilegia, nel suo bagaglio narrativo, un'ironia misteriosa, il senso di un'oscura colpa, il presagio esoterico e il sospetto di un colloquio privilegiato con l'altra faccia del reale che forse si chiama verità, ammutinamento, Dio o semplicemente follia. Si può 'imitare' mentalmente un mazzo di rose? Si può impedire che il rumore di un paio di scarpe infranga un voto d'iniziazione? I personaggi di Clarice Lispector tentano simili operazioni, in bilico fra la serena decifrazione del reale visibile e l'immagine sconvolgente che la sua traduzione in idea produce nella mente. [...] I personaggi quotidiani di questa straordinaria scrittrice sono esseri angelici che hanno compiuto un infimo miracolo del quale raccontano il banale e sovversivo segreto." (Antonio Tabucchi)
«Sono nata per scrivere. La parola è il mio dominio sul mondo. Fin da bambina ho avuto varie vocazioni che mi chiamavano ardentemente. Una di queste era scrivere»: così Clarice Lispector definisce la sua viscerale dedizione alla scrittura sulle pagine del «Jornal do Brasil», quotidiano con cui collaborò dal 1967 al 1973 pubblicando settimanalmente le sue crônicas, testi a metà strada tra il giornalismo e la letteratura. Dalle parole della scrittrice brasiliana emerge non solo una naturale – e ovvia – inclinazione, ma soprattutto il fine che l’ha orientata, ossia il tentativo iterato di attingere, attraverso la parola, al nucleo di un’esperienza imperscrutabile e indecifrabile come quella dell’esistenza umana.
Vita e scrittura costituivano, per Clarice Lispector, l’imprescindibile nesso di un’intensa ricerca espressiva, che mirava a sondare il mistero dell’essere al mondo, trasformando l’attività letteraria in una sorta di missione accettata come un ineluttabile destino. Per Lispector non si trattava dunque solo di praticare la letteratura, ma di essere attraverso una scrittura che scardina i luoghi comuni, realizzandosi nella discontinuità di un transito sulla frontiera tra realtà e finzione, tra dicibile e indicibile, tra vita e opera. […]
[Luigia De Crescenzo, il manifesto, 29.12.2019]
Su Clarice Lispector sono presenti online numerosi articoli di critica letteraria. Ne abbiamo scelti alcuni.