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Medicina e scienze umane

Maylis de Kerangal, "Riparare i viventi"

Che cosa sia questo cuore, cosa l’abbia fatto balzare, vomitare, crescere, danzare in un valzer leggero come una piuma, o pesare come un macigno, cosa l’abbia stordito, cosa l’abbia fatto struggere – l’amore; che cosa sia il cuore di Simon Limbres, che cosa l’abbia filtrato, registrato, archiviato, scatola nera di un corpo di vent’anni, nessuno lo sa davvero.

Siamo in Francia, Simon è un adolescente amante del surf, insieme a due amici sta rientrando a casa dopo una notte passata sulla spiaggia; il destino, però, lo attende lì a pochi metri, il loro pulmino ha un incidente, Simon riporta un forte trauma cranico, finisce in coma irreversibile. Da quell’istante lì, un meccanismo struggente si innesca, meccanismo in cui vengono coinvolte le vite dei genitori, della sorella, della fidanzata; le vite dei medici e degli infermieri che dovranno riuscire a salvare i suoi organi per dare ad altre persone la possibilità di salvezza.

Ha annunciato la morte del figlio a quell’uomo e a quella donna, non si è schiarito la gola, non ha abbassato la voce, ha pronunciato le parole, la parola “deceduto”, poi ancora la parola “morto”, parole che cristallizzano uno stato del corpo. Ma il corpo di Simon Limbres non era pietrificato, è questo il problema, e con l’aspetto contraddiceva l’idea che ci si faceva di un cadavere perché, in fin dei conti, era caldo, l’incarnato acceso, e si muoveva anziché essere freddo, blu e immobile.

La scrittrice transalpina con un sapiente uso del linguaggio e con una forza espressiva potente ci trascina in questo incubo a cielo aperto, dove la vita di ogni singolo personaggio viene assoggettata al dramma dell’esistenza e della morte, alla guerra antica del corpo e della sua sopravvivenza. Ogni frase, ogni periodo di De Kerangal, sembra vivere di vita propria, e l’intero romanzo appare come un perfetto mosaico, dove con lo scorrere delle pagine ogni pezzo trova il suo giusto incastro, e ogni emozione sfuma in qualcosa di diverso, ma non per questo diversamente tragico. [Continua a leggere sul sito SulRomanzo.it]

IN CATALOGO: Maylis de Kerangal, Riparare i viventi, Milano: Feltrinelli, 2015.

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Un romanzo che mi ha veramente entusiasmato soprattutto per la grande capacità dell’autore di descrivere i vari contesti: dall’alta Valle di Ayas (Valle d’Aosta) dalla straripante bellezza dove si collocano la maggior parte degli eventi, alla caotica ed inquinata città di Milano. Molte le emozioni e i ricordi che mi sono affiorati alla mente, perché è una zona che conosco abbastanza bene e che da giovane ho avuto modo di esplorare assieme a dei cari amici. Una famiglia di veneti che agli inizi frequentavano assiduamente le Dolomiti, come molti di noi (qui ho rivisto la mia famiglia) e che poi per ragioni lavorative si sono trasferiti a Milano. Vari i temi che emergono da questa agile lettura essenzialmente dovuta anche alla capacità dell’autore di trasferire qualitativamente in queste pagine i sentimenti e le emozioni, molto simili alle emozioni che io stesso ho provato. Il contesto della montagna ha sicuramente favorito lo sviluppo e l’emergere del primo tema: la bella e fedele amicizia dei due protagonisti Pietro e Bruno che parte da quando erano bambini fino all’età adulta. Una classica amicizia tra due maschi, dove a prevalere sono i silenzi e i non detto, alle intese con uno sguardo e un rimandare le decisioni prese a cuore, ma mai esplicitate e forse solo sottointese. Le figure femminili ci sono, ma fanno da contorno, significativo ma laterale. Poi il tema della maestosità della natura alpina che mi riesce impossibile esprimere quanto molto efficacemente ha fatto l’autore; da qui nascono collaterali alcune riflessioni sullo sfruttamento ed incontrollato sviluppo turistico di tali zone con la costruzione di impianti di risalita per i sciatori, sulla conservazione dei mestieri e delle tradizione degli alpeggi e paesi alpini, sul nostro stile di vita qui in città e quello in alta montagna generando in noi metamorfosi nostalgiche ai bei tempi che furono. Anche il tema della relazione: “Padri e Figli” è interessante e pone degli interessanti interrogativi: “Noi siamo chi abbiamo incontrato”, a cominciare dai nostri genitori. Come vedete un libro molto bello ed interessante che giustamente ha vinto il “Premio Strega 2017” e che ha prodotto l’omonimo adattamento cinematografico che a sua volta ha vinto il premio della giuria al recente 75º Festival di Cannes.

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